AMALIA BRUNI, L’ALLEATO PENTASTELLATO E IL VOTO D’OPINIONE
Come sono arrivati in parlamento gli sconosciuti avv. D’Ippolito e Frugiuele? Con l’ondata del voto d’opinione. Salvini intende replicare quel film pertanto si gira in lungo e largo la Calabria mentre Letta si fa vedere lo stretto indispensabile. Letta ha inglobato la Bruni dentro lo schemino nazionale “Pd + 5Stelle” perché non ha mai pensato di poter vincere, l’importante è poter dire alla fine come in Umbria: abbiamo perso insieme.
di Francesco Scoppetta / politica / 09 settembre 2021
Consentitemi un rapido sguardo sul nostro quotidiano “Beautiful” politico. Il governo Draghi appare in questi giorni da tutti i sondaggi ottenere un crescente favore degli italiani anche dopo le intemperanze ed i distinguo per le scelte sul green pass. La campagna vaccinale grazie alla svolta impressa da Figliuolo si sta dimostrando agli inizi di settembre certamente un successo e sia l’estate turistica che la ripresa economica fanno intravedere se non una svolta un deciso cambio di rotta.
E tuttavia per Enrico Letta “questo non è il nostro governo” e Franceschini, che è il vero padrone misterioso dei dem oltre che il capo delegazione al governo, non ha mai pronunciato sin qui un solo apprezzamento per l’azione del suo premier Draghi. Proprio mentre il dem Bettini, Giuliano Ferrara sul Foglio e il duo Meloni-Salvini convergono sulla proposta di mandare Draghi al Colle per avvicinare le elezioni anticipate, Letta appare (F. Cundari) “intento piuttosto a cercare ogni giorno motivi per distinguersi e condurre piccole battaglie identitarie di cui finisce sistematicamente per dimenticarsi una settimana dopo, una volta esaurita la giostra delle interviste e dei tweet di rito, dando così l’immagine di un partito capriccioso e desideroso soltanto di far casino”.
Insomma, un partito riformista, per fronteggiare e superare la destra, ci si aspetterebbe che adottasse l’agenda Draghi (almeno se si guarda ancora i sondaggi) e non che lo qualificasse come un “estraneo” chiamato a gestire una fase propedeutica prima delle prossime elezioni. In realtà oggi il leader dem sembra pappa e ciccia con Giuseppi, intento, come la strana coppia Travaglio/Bersani, a costruire il tendone del circo che nelle elezioni politiche future dovrebbe accogliere democrat e grillini per battere Meloni e Salvini. Si badi, tutto questo al buio, senza che ancora sia stata stabilita la data del voto e il sistema elettorale. Cerchiamo di focalizzare dunque il punto più importante che è il seguente: qualora si puntasse su Draghi come Presidente della Repubblica ,“bisognerebbe prima stringere un patto di ferro con le altre forze per un governo fino al termine della legislatura”. Questa avvertenza proviene in tempi non sospetti proprio dal silenzioso Franceschini ed ha un suo valore preciso. Infatti tutti i parlamentari e soprattutto i grillini che non hanno più la certezza di ritornare in parlamento intendono arrivare almeno a luglio 2022 per far scattare il loro diritto a pensione. Gli mancano 11 mesi mentre soltanto fra 5 mesi ci sarà l’elezione del Capo dello Stato. In queste condizioni come si fa a liberarsi di Draghi e ad andare a elezioni se i peones non vogliono e se tutto il resto a cominciare dalla legge elettorale è in alto mare?
Dall’altra parte quelli che vogliono mantenere Draghi al governo (per esempio Renzi) debbono inventarsi una soluzione per il Colle, dal momento che occorrerebbe convincere Mattarella a restare oppure coagulare ampio consenso su uno dei mille aspiranti successori (da Amato a Cartabia e Veltroni). Due imprese incerte non da poco e che concernono nientemeno che la stabilità degli assetti istituzionali. Come si vede da questo rapido excursus ancora una volta è a un piccolo battitore libero come Renzi al quale è lasciato il compito di dover mettere a posto i pezzi del puzzle, mentre i grandi, i saggi, i responsabili, quelli che sono stati richiamati da Parigi per guidare la nave, sono intenti soltanto a fare la respirazione bocca a bocca allo svenuto Conte, nella speranza che perso Casaleggio e defilato Grillo, sia in grado di fare non più l’avvocato del popolo, ma il gestore dei 5Stelle in amministrazione controllata. Nel frattempo da svenuto ha rinunciato alla corsa nelle città a rischio disfatta e anche alle suppletive al collegio di Primavalle, tanto che ora viene chiamato il leader del Movimento senza 5 Palle. Tutti ricordano il motto di Francesco Ferrucci “Vile, tu uccidi un uomo morto”, Letta sta dimostrando che si può tentare di risuscitare un uomo morto politicamente, solo che Conte non è Lazzaro e lui non fa miracoli.
Insomma, lo schemino (che i pragmatici ci rovesciano addosso) “la destra si batte soltanto con l’asse Pd & Quelcherestadei 5Stelle” continua ad essere l’unico rosario dei dem che recitano ogni mattina e sera insieme col Fatto quotidiano. Draghi è solo un apostrofo rosa tra le parole “t’amo”, il solito “né-né” di certa sinistra (né amico né nemico), sarebbe meglio che per sette anni andasse al Colle a fungere da parafulmine in Europa e nel mondo (ai summit ci andrà la Meloni) per le inadempienze e le mattane del prossimo Capo del Governo (chiunque essa sia). Nel frattempo si scruta l’aria che tira, e lo capiremo presto con le elezioni nelle grandi città e con le regionali calabresi.
Letta e Salvini si giocano i loro destini e infatti il secondo è sempre in Calabria dove è sicuro di vincere mentre il dem bighelloneggia tra Roma, Milano e Bologna, ben sapendo che quando viene in Calabria deve essere sempre “toccata e fuga”, un “guarda che mi tocca fare”, come la foto con Bruni e Viscomi tramanderà ai posteri, con l’aria pensosa di Letta che ascolta la gesticolante Bruno Bossio. Salvini ha girato per sette giorni interi la nostra regione dicendosi sicuro che la Lega sarà il primo partito in Calabria, Letta ci sarebbe dovuto stare lui in pianta stabile per un mese (nelle città si vince a prescindere) impostando una campagna nazionale d’opinione. In fondo, al governo regionale la Lega c’è già stata con Spirlì e i calabresi non sono mai stati scemi da replicare esperienze fallimentari. Ha messo il cappello su Amalia Bruni ma senza voler capovolgere e stravolgere il solito copione del sud arretrato, piagnone e isolato da tutto il contesto nazionale. Eppure Letta ben sa che il nome Bruni può richiamare soltanto il “voto d’opinione”, essendo il pd calabrese inesistente come forza organizzata ma soltanto un’accolita di “personaggi” in ordine sparso in cerca di “potere personale”. Invece ha accettato la mediazione, l’unico nome che andasse bene a Quelcherestadei 5 Stelle in Calabria, affidandosi per il resto al solito “usato sicuro” dei procacciatori di voti sui territori. Bruni aveva un senso se diventava e rappresentava una battaglia nazionale, se la Calabria diventava un prodotto da lanciare sul mercato politico nazionale, come è nelle intenzioni di Salvini, che nei paesi non ha truppe insediate da anni ma acquisizioni recenti e fluide. Letta al contrario ha preferito il male minore e comune, che per lui è perdere insieme con l’alleato-Conte, invece di rischiare il tutto per tutto per vincere da solo collegandosi all’agenda Draghi che non promette nulla perché esiste se realizza quanto si propone di fare.
La riflessione finale concerne appunto il (mancato) rapporto tra il governo Draghi e la Calabria. Il simbolo di questo mancato incontro è l’ex ministro del Conte2 Beppe Il Rosso Provenzano (consiglio su L’Espresso, “Tutti i disastri di Provenzano” di Susanna Turco), uno che al Mezzogiorno dedica tutte le sue energie, con una sola ossessiva idea in testa: cambiare nome all’assistenzialismo che dovrebbe diventare “il pacchetto per il Sud o fiscalità di vantaggio”. Il nome di Amalia Bruni poteva da Letta (personalizzo perché il pd come comunità politica non esiste) esser speso comodamente in queste regionali se, come detto, la campagna elettorale avesse puntato mediaticamente ad ottenere un voto d’opinione nazionale, e non fosse stata compressa dentro la camicia di forza nazionale “Pd+5Stelle”. Niente di immaginifico, sarebbe stato facile per Letta rivendicare anche alla Calabria il “liberi tutti” che Conte ha voluto per sé nelle città. Sono anni che ormai è evidente a tutti che i 5Stelle si alleano con i dem in quei territori dove si tratta di mettere insieme le reciproche debolezze, la foto di Narni per le elezioni in Umbria nel 2019 la ricordiamo tutti. Dove, come a Roma e Milano, pd e 5Stelle hanno un peso, si presentano divisi e concorrenti. Quando si vince è meglio dire “ho vinto”; quando si perde è preferibile “abbiamo perso”. Chiaro, no?
Ma se i vedovi inconsolabili di Conte (tipo Beppe il rosso che a Lamezia è venuto per dirci che il suo compito storico resta quello di “spostare a sinistra il pd”, tanti Auguri) a Draghi lo vedono come il sole dal quale star lontano perché ti brucia o ti scotta, come ottieni il voto d’opinione calabrese, cioè il voto di quelli che si astengono da anni, che non sopportano valvassori e cacicchi, clienti e portatori di mancette? Che senso politico ha scomodare una scienziata se non la presenti “svincolata da tutti e tutto”, libera da bipopulismi, giochi, schemi, alleanze, tattiche, redditi da poltrone e non la colleghi con la sola unica speranza reale e concreta che i calabresi hanno, il governo Draghi e la spesa del Pnrr (il 40%) che nei prossimi anni può rappresentare la svolta per il Mezzogiorno e le sue contrade derelitte? La previsione è far crescere il Sud del 24%, è la nostra “grande occasione” per il rilancio, nel termine imprescindibile di 5 anni (il contrario delle calende greche alle quali siamo abituati) “che deve tener conto anche delle storiche difficoltà del Sud di assorbimento dei fondi pubblici” come ha puntualizzato alle Camere il premier Draghi.
Per la prima volta abbiamo un Piano, un premier che otterrà i soldi soltanto se riesce a spenderli sino all’ultimo euro, la Lega (quella che ai terroni sino a poco tempo fa voleva fargli fare la fine dei barconi dei clandestini) diventato primo partito calabrese tenuta a bada, e Letta che affida Amalia Bruni ai soliti noti (dalla Bruno Bossio agli laqualunque arraffavoti dei consiglieri uscenti) in tandem con le goccioline dell’evaporazione dei grillini. Insomma, e per concludere, ammettiamo che i grillini portino alla Bruni per intero il 7,5 % dei voti che prese Aiello quando vinse la Santelli. Cosa te ne fai, se non hai capito che oggi ognuno gioca per sé, i partiti non esistono più e l’Italia resiste perché in questo momento storico ci sono nell’immaginario collettivo due personaggi, Mattarella e Draghi (mai visti in nessun talk della tv), che tutto il mondo, non solo gli italiani, accreditano come persone serie. Io sarò ingenuo, ma qualcuno dovrebbe farci capire come tutti i “los redentores” (quelli che vogliono spostare il pd sempre più a sinistra) possano considerare nel 2021 Giuseppi un alleato più credibile affidabile ed ingegnoso di Mario Draghi. Se non credi in Draghi, dalla società civile puoi estrarre le intelligenze migliori, ma non farai altro che immolarle sull’altare della vecchia politica che per esempio alla Calabria ha regalato 11 anni di commissari incapaci alla sanità.
Nella situazione estremamente aperta che si è improvvisamente determinata grazie al governo Draghi (una carta che Letta si è trovata in mano per caso) stava probabilmente l’ultima decisiva occasione di cambiare i rapporti di forza con la destra. A cominciare dalla Calabria. Già ai primi di ottobre lo capiremo meglio. Perché ormai in Calabria non si mira a vincere ma a perdere cadendo in piedi. Ottenere un posto di consigliere regionale vale molto più che un posto in parlamento. Non ti devi spostare a Roma, e per sole 6 assemblee all’anno in quel di Reggio ti danno lo stesso stipendio per dormire a casa tua e continuare a farti gli affari tuoi.
E tuttavia per Enrico Letta “questo non è il nostro governo” e Franceschini, che è il vero padrone misterioso dei dem oltre che il capo delegazione al governo, non ha mai pronunciato sin qui un solo apprezzamento per l’azione del suo premier Draghi. Proprio mentre il dem Bettini, Giuliano Ferrara sul Foglio e il duo Meloni-Salvini convergono sulla proposta di mandare Draghi al Colle per avvicinare le elezioni anticipate, Letta appare (F. Cundari) “intento piuttosto a cercare ogni giorno motivi per distinguersi e condurre piccole battaglie identitarie di cui finisce sistematicamente per dimenticarsi una settimana dopo, una volta esaurita la giostra delle interviste e dei tweet di rito, dando così l’immagine di un partito capriccioso e desideroso soltanto di far casino”.
Insomma, un partito riformista, per fronteggiare e superare la destra, ci si aspetterebbe che adottasse l’agenda Draghi (almeno se si guarda ancora i sondaggi) e non che lo qualificasse come un “estraneo” chiamato a gestire una fase propedeutica prima delle prossime elezioni. In realtà oggi il leader dem sembra pappa e ciccia con Giuseppi, intento, come la strana coppia Travaglio/Bersani, a costruire il tendone del circo che nelle elezioni politiche future dovrebbe accogliere democrat e grillini per battere Meloni e Salvini. Si badi, tutto questo al buio, senza che ancora sia stata stabilita la data del voto e il sistema elettorale. Cerchiamo di focalizzare dunque il punto più importante che è il seguente: qualora si puntasse su Draghi come Presidente della Repubblica ,“bisognerebbe prima stringere un patto di ferro con le altre forze per un governo fino al termine della legislatura”. Questa avvertenza proviene in tempi non sospetti proprio dal silenzioso Franceschini ed ha un suo valore preciso. Infatti tutti i parlamentari e soprattutto i grillini che non hanno più la certezza di ritornare in parlamento intendono arrivare almeno a luglio 2022 per far scattare il loro diritto a pensione. Gli mancano 11 mesi mentre soltanto fra 5 mesi ci sarà l’elezione del Capo dello Stato. In queste condizioni come si fa a liberarsi di Draghi e ad andare a elezioni se i peones non vogliono e se tutto il resto a cominciare dalla legge elettorale è in alto mare?
Dall’altra parte quelli che vogliono mantenere Draghi al governo (per esempio Renzi) debbono inventarsi una soluzione per il Colle, dal momento che occorrerebbe convincere Mattarella a restare oppure coagulare ampio consenso su uno dei mille aspiranti successori (da Amato a Cartabia e Veltroni). Due imprese incerte non da poco e che concernono nientemeno che la stabilità degli assetti istituzionali. Come si vede da questo rapido excursus ancora una volta è a un piccolo battitore libero come Renzi al quale è lasciato il compito di dover mettere a posto i pezzi del puzzle, mentre i grandi, i saggi, i responsabili, quelli che sono stati richiamati da Parigi per guidare la nave, sono intenti soltanto a fare la respirazione bocca a bocca allo svenuto Conte, nella speranza che perso Casaleggio e defilato Grillo, sia in grado di fare non più l’avvocato del popolo, ma il gestore dei 5Stelle in amministrazione controllata. Nel frattempo da svenuto ha rinunciato alla corsa nelle città a rischio disfatta e anche alle suppletive al collegio di Primavalle, tanto che ora viene chiamato il leader del Movimento senza 5 Palle. Tutti ricordano il motto di Francesco Ferrucci “Vile, tu uccidi un uomo morto”, Letta sta dimostrando che si può tentare di risuscitare un uomo morto politicamente, solo che Conte non è Lazzaro e lui non fa miracoli.
Insomma, lo schemino (che i pragmatici ci rovesciano addosso) “la destra si batte soltanto con l’asse Pd & Quelcherestadei 5Stelle” continua ad essere l’unico rosario dei dem che recitano ogni mattina e sera insieme col Fatto quotidiano. Draghi è solo un apostrofo rosa tra le parole “t’amo”, il solito “né-né” di certa sinistra (né amico né nemico), sarebbe meglio che per sette anni andasse al Colle a fungere da parafulmine in Europa e nel mondo (ai summit ci andrà la Meloni) per le inadempienze e le mattane del prossimo Capo del Governo (chiunque essa sia). Nel frattempo si scruta l’aria che tira, e lo capiremo presto con le elezioni nelle grandi città e con le regionali calabresi.
Letta e Salvini si giocano i loro destini e infatti il secondo è sempre in Calabria dove è sicuro di vincere mentre il dem bighelloneggia tra Roma, Milano e Bologna, ben sapendo che quando viene in Calabria deve essere sempre “toccata e fuga”, un “guarda che mi tocca fare”, come la foto con Bruni e Viscomi tramanderà ai posteri, con l’aria pensosa di Letta che ascolta la gesticolante Bruno Bossio. Salvini ha girato per sette giorni interi la nostra regione dicendosi sicuro che la Lega sarà il primo partito in Calabria, Letta ci sarebbe dovuto stare lui in pianta stabile per un mese (nelle città si vince a prescindere) impostando una campagna nazionale d’opinione. In fondo, al governo regionale la Lega c’è già stata con Spirlì e i calabresi non sono mai stati scemi da replicare esperienze fallimentari. Ha messo il cappello su Amalia Bruni ma senza voler capovolgere e stravolgere il solito copione del sud arretrato, piagnone e isolato da tutto il contesto nazionale. Eppure Letta ben sa che il nome Bruni può richiamare soltanto il “voto d’opinione”, essendo il pd calabrese inesistente come forza organizzata ma soltanto un’accolita di “personaggi” in ordine sparso in cerca di “potere personale”. Invece ha accettato la mediazione, l’unico nome che andasse bene a Quelcherestadei 5 Stelle in Calabria, affidandosi per il resto al solito “usato sicuro” dei procacciatori di voti sui territori. Bruni aveva un senso se diventava e rappresentava una battaglia nazionale, se la Calabria diventava un prodotto da lanciare sul mercato politico nazionale, come è nelle intenzioni di Salvini, che nei paesi non ha truppe insediate da anni ma acquisizioni recenti e fluide. Letta al contrario ha preferito il male minore e comune, che per lui è perdere insieme con l’alleato-Conte, invece di rischiare il tutto per tutto per vincere da solo collegandosi all’agenda Draghi che non promette nulla perché esiste se realizza quanto si propone di fare.
La riflessione finale concerne appunto il (mancato) rapporto tra il governo Draghi e la Calabria. Il simbolo di questo mancato incontro è l’ex ministro del Conte2 Beppe Il Rosso Provenzano (consiglio su L’Espresso, “Tutti i disastri di Provenzano” di Susanna Turco), uno che al Mezzogiorno dedica tutte le sue energie, con una sola ossessiva idea in testa: cambiare nome all’assistenzialismo che dovrebbe diventare “il pacchetto per il Sud o fiscalità di vantaggio”. Il nome di Amalia Bruni poteva da Letta (personalizzo perché il pd come comunità politica non esiste) esser speso comodamente in queste regionali se, come detto, la campagna elettorale avesse puntato mediaticamente ad ottenere un voto d’opinione nazionale, e non fosse stata compressa dentro la camicia di forza nazionale “Pd+5Stelle”. Niente di immaginifico, sarebbe stato facile per Letta rivendicare anche alla Calabria il “liberi tutti” che Conte ha voluto per sé nelle città. Sono anni che ormai è evidente a tutti che i 5Stelle si alleano con i dem in quei territori dove si tratta di mettere insieme le reciproche debolezze, la foto di Narni per le elezioni in Umbria nel 2019 la ricordiamo tutti. Dove, come a Roma e Milano, pd e 5Stelle hanno un peso, si presentano divisi e concorrenti. Quando si vince è meglio dire “ho vinto”; quando si perde è preferibile “abbiamo perso”. Chiaro, no?
Ma se i vedovi inconsolabili di Conte (tipo Beppe il rosso che a Lamezia è venuto per dirci che il suo compito storico resta quello di “spostare a sinistra il pd”, tanti Auguri) a Draghi lo vedono come il sole dal quale star lontano perché ti brucia o ti scotta, come ottieni il voto d’opinione calabrese, cioè il voto di quelli che si astengono da anni, che non sopportano valvassori e cacicchi, clienti e portatori di mancette? Che senso politico ha scomodare una scienziata se non la presenti “svincolata da tutti e tutto”, libera da bipopulismi, giochi, schemi, alleanze, tattiche, redditi da poltrone e non la colleghi con la sola unica speranza reale e concreta che i calabresi hanno, il governo Draghi e la spesa del Pnrr (il 40%) che nei prossimi anni può rappresentare la svolta per il Mezzogiorno e le sue contrade derelitte? La previsione è far crescere il Sud del 24%, è la nostra “grande occasione” per il rilancio, nel termine imprescindibile di 5 anni (il contrario delle calende greche alle quali siamo abituati) “che deve tener conto anche delle storiche difficoltà del Sud di assorbimento dei fondi pubblici” come ha puntualizzato alle Camere il premier Draghi.
Per la prima volta abbiamo un Piano, un premier che otterrà i soldi soltanto se riesce a spenderli sino all’ultimo euro, la Lega (quella che ai terroni sino a poco tempo fa voleva fargli fare la fine dei barconi dei clandestini) diventato primo partito calabrese tenuta a bada, e Letta che affida Amalia Bruni ai soliti noti (dalla Bruno Bossio agli laqualunque arraffavoti dei consiglieri uscenti) in tandem con le goccioline dell’evaporazione dei grillini. Insomma, e per concludere, ammettiamo che i grillini portino alla Bruni per intero il 7,5 % dei voti che prese Aiello quando vinse la Santelli. Cosa te ne fai, se non hai capito che oggi ognuno gioca per sé, i partiti non esistono più e l’Italia resiste perché in questo momento storico ci sono nell’immaginario collettivo due personaggi, Mattarella e Draghi (mai visti in nessun talk della tv), che tutto il mondo, non solo gli italiani, accreditano come persone serie. Io sarò ingenuo, ma qualcuno dovrebbe farci capire come tutti i “los redentores” (quelli che vogliono spostare il pd sempre più a sinistra) possano considerare nel 2021 Giuseppi un alleato più credibile affidabile ed ingegnoso di Mario Draghi. Se non credi in Draghi, dalla società civile puoi estrarre le intelligenze migliori, ma non farai altro che immolarle sull’altare della vecchia politica che per esempio alla Calabria ha regalato 11 anni di commissari incapaci alla sanità.
Nella situazione estremamente aperta che si è improvvisamente determinata grazie al governo Draghi (una carta che Letta si è trovata in mano per caso) stava probabilmente l’ultima decisiva occasione di cambiare i rapporti di forza con la destra. A cominciare dalla Calabria. Già ai primi di ottobre lo capiremo meglio. Perché ormai in Calabria non si mira a vincere ma a perdere cadendo in piedi. Ottenere un posto di consigliere regionale vale molto più che un posto in parlamento. Non ti devi spostare a Roma, e per sole 6 assemblee all’anno in quel di Reggio ti danno lo stesso stipendio per dormire a casa tua e continuare a farti gli affari tuoi.