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LE GRANDI NARRAZIONI: VIVIAMO NELL’EPOCA DELLA COMPLESSITÀ
Occorre pensare ad una nuova politica europea. Non si può far finta che nulla è cambiato. Saranno i futuri cambiamenti degli equilibri politici a farci pensare in modo nuovo.

Viviamo nell’epoca della complessità.
Nel tempo della globalizzazione diverse visioni del mondo, tutte con uguale diritto a considerarsi valide, sono ormai presenti contemporaneamente nelle società avanzate. Ormai si diffondono anche quelle meno accreditate di gruppi occasionali che si incontrano sui social e si aggregano sulla base di convinzioni più o meno fantasiose, sotto il comune denominatore dell’urgenza di apparire in un mondo dominato dai media.
La civiltà egiziana per quasi tre millenni si è retta sulla divinità incarnata rappresentata dai Faraoni e i Greci antichi si sono riconosciuti nella storia della guerra di Troia raccontata da Omero nell’Iliade, e da questi miti hanno trovato la forza di vincere l’Impero persiano a Maratona e a Salamina. I romani si sono riconosciuti negli antichi miti e valori ripresi e raccontati da Virgilio nell’Eneide e da Livio nelle sua storia.
La storia dell’Europa medievale e cristiana, dalla filosofia della storia di S. Agostino alla filosofia tomistica delle Universitates, ha trovato la sua sintesi più alta nella visione della Commedia dantesca.
E non dobbiamo dimenticare, evitando l’eurocentrismo, che in altre parti del mondo si sono affermate e persistono visioni del mondo altrettanto antiche e profonde: dagli antichi miti dei libri sacri indiani al pensiero del Buddha, all’ideologia confuciana, alla religione della famiglia nell’Estremo Oriente.
Idee che informano il pensiero e la vita di miliardi di uomini nel grande continente asiatico.
Il fatto è che le società umane, per essere coese, hanno bisogno di credere in grandi narrazioni o miti fondanti. La grande narrazione del mondo Occidentale moderno, erede della Rivoluzione Francese, è la fede nella libertà e uguaglianza dei cittadini, sancita dalla democrazia, ed è anche la fede nel progresso economico e sociale del capitalismo borghese e delle rivoluzioni tecnico-scientifiche.
Questa narrazione ha raggiunto il punto più alto nel Novecento, dopo la seconda guerra mondiale, ed ha conseguito i risultati ideali più grandi con la creazione dell’ONU e l’istituzione della CEE, compattando il mondo occidentale contro l’URSS e il pericolo comunista. Questa fase si è conclusa dopo quasi mezzo secolo, nel 1989, con il crollo del Muro di Berlino e del sistema sovietico.


 Da quel momento il liberalismo e la sua versione economica, il liberismo dell’economia,
hanno trionfato nel mondo occidentale e nel resto del mondo, anche dove non vi erano i presupposti sociali e culturali per svilupparlo. Ne è scaturita una situazione ibrida in cui ogni Stato ha trovato una via diversa per tendere all’unico mito globale ormai comune a tutti: lo sviluppo tecnico e scientifico indispensabile ad affermarsi in un mondo globalizzato e integrato nei commerci, nella finanza, negli spostamenti di persone e imprese economiche.
Dopo la seconda guerra mondiale l’egemonia economica e militare statunitense si è manifestata in una serie di guerre in Asia, in Medio Oriente, nell’ex Jugoslavia, nel nord dell’Africa, fino al frettoloso e umiliante abbandono dell’Afghanistan.
La svolta afghana dimostra che si è chiuso un ciclo e che, di fronte alla prepotente crescita delle economia cinese e dell’estremo Oriente, la società statunitense si sta riposizionando su posizioni più attente ai problemi interni. Questo ha conseguenze anche nell’Europa occidentale.
Non è un caso che il Presidente Mattarella, il Presidente Draghi e addirittura la Presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen, abbiano evidenziato la necessità che la CEE proceda a una maggiore integrazione e indipendenza sul piano dell’integrazione militare e della politica estera.
La complessità dei problemi  obbliga a pensare a una nuova politica europea che tenga conto del fatto che le sfide sui mutamenti climatici, sulle nuove tecnologie sull’Intelligenza artificiale, sulle pandemie ricorrenti possono essere affrontate solo se si considera che si è definitivamente chiuso un ciclo: quello del secondo dopoguerra caratterizzato dalla supremazia americana e dal benessere dei Paesi Occidentali fondato su un consumismo sfrenato, che ha fatto crescere la produzione ma anche l’inquinamento selvaggio.
Oggi che altri Paesi e molti altri miliardi di persone si sono avviati sulla strada del maggiore benessere e del consumismo, si pone il problema della capacità della Natura di assorbire gli squilibri prodotti dallo sviluppo e di trovare fonti energetiche a basso costo necessarie alle nuove esigenze.
Possiamo fare finta che nulla sia cambiato, ma saranno la Natura e i futuri cambiamenti degli equilibri politici a obbligarci a pensare in modo nuovo.