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PERCHE’ IL CASO BERGAMINI RACCONTA LA CALABRIA
Dopo 31 anni in Calabria si riapre un caso di cronaca nera che fu etichettato, contro ogni logica, come “suicidio”. Si tratta della morte del calciatore del Cosenza, Bergamini. Tento di spiegare perché mai questo fatto ci può far interrogare sulla regione in cui viviamo e su quel che vi succede normalmente. Siamo così abituati a considerare oramai la ‘ndrangheta come la padrona delle nostre vite, delle nostre giornate e del nostro territorio che ci sfugge tutto il resto (ciò che non ha a che fare con l’economia). Di vivere in una regione dove non funziona nulla e dove da tempo anche la logica non serve più a niente, come l’antico olio di fegato di merluzzo.

Se fossi Roberto Saviano o un grande giornalista investigativo o Tom McCarthy, il regista del film “Il caso Spotlight” che ripercorre le vere indagini del quotidiano Boston Globe sull’arcivescovo Bernard Francis Law (premio Oscar 2015), penserei ad un film sulla Calabria. Come lo farei? Bè, ripercorrerei il caso Bergamini.
Denis Bergamini, all’anagrafe Donato Bergamini (1962–1989), è stato un calciatore italiano del Cosenza che giocava in serie B. La sua fama, postuma, è dovuta alle controversie sulla sua morte, attribuita inizialmente a suicidio quando il suo cadavere fu rinvenuto sulla Statale 106 in prossimità di Roseto Capo Spulico il 18 novembre 1989. Tale ricostruzione dei fatti non fu mai considerata verosimile da parte dei familiari, giornalisti d’inchiesta e colleghi (come gli ex calciatori Michele Padovano, suo amico e all’epoca compagno di squadra in Calabria, e Carlo Petrini, autore di un libro sulla sua vicenda).
Nel novembre 2017, a 28 anni dal fatto, una nuova perizia disposta dal tribunale di Castrovillari ha attribuito la morte del calciatore ad un soffocamento/strangolamento; a seguito di questa perizia sono stati iscritti nel registro degli indagati la ex fidanzata e l’autista del camion sotto le cui ruote fini il calciatore. Pochi giorni fa il Gup del Tribunale di Castrovillari ha rinviato a giudizio la sua ex fidanzata Isabella Internò, oggi 52enne.
L’ipotesi accusatoria è che la Internò, all’epoca diciannovenne, abbia voluto punire l’ex fidanzato per aver interrotto il loro rapporto. Dopo che la vittima fu narcotizzata e soffocata, secondo l’ipotesi dell’accusa fu simulato un suicidio, ipotesi che suscitò subito diversi dubbi. L’uomo fu travolto e ucciso da un mezzo pesante. L’udienza d’apertura del processo è stata fissata per il 25 ottobre 2021.
Perché questo caso merita di essere raccontato e a cosa serve? Perché racconta, descrive la Calabria almeno quanto le analisi di Vito Teti. Allo stesso modo il delitto di Arce (Frosinone) della diciottenne Serena Mollicone, dell’1 giugno 2001, racconta la provincia interna laziale. Per la morte di Serena sono stati rinviati a giudizio cinque persone, tra cui tre carabinieri. Il suo povero dignitoso padre è morto chiedendo giustizia dopo essersi battuto come un leone.
Ma torniamo al caso Bergamini, una morte che subito lasciò, anche a chi scrive, molti dubbi. La versione ufficiale diceva che mentre era in macchina con la fidanzata il calciatore aprì la portiera e si buttò sotto un camion che passava sulla 106. Un suicidio, dunque. Molto inquietante, come la sorte di una ragazza di 18 anni che ad Arce scompare dopo che è stata vista entrare nella caserma dei carabinieri. La domanda è: perché ci sono voluti 31 anni per il rinvio a giudizio? Chi è la Internò, la figlia di un potente boss della ‘ndrangheta, dei servizi segreti, della massoneria? No, e allora come è stato possibile far passare tutto questo tempo? La risposta è, secondo me, perché la Calabria profonda è questa. Cerco di spiegarmi.
Prendiamo la Guardia di Finanza, cosa è più difficile, fare un’indagine patrimoniale ad un piccolo negozio, oppure ad una grande catena distributiva o a una grande industria con centinaia di dipendenti? La risposta è elementare, così come è chiaro che far le indagini su una famiglia mafiosa dovrebbe essere ben più difficile che indagare su un impiegato pubblico.  La morte di Bergamini invece diventa per più di 30 anni un suicidio nonostante la stampa (ecco il caso Spotlight e Saviano), gli amici e quelli che ragionano senza paraocchi non vi trovino una logica plausibile.
Non intendo scendere nei particolari di una storia molto intricata, fornisco soltanto alcuni dettagli. La storia tra il calciatore e la ragazza comincia davanti ad un bar, come avviene in tutte (ripeto, tutte) le provincie  italiane. I calciatori in gruppo scelgono un bar e dopo gli allenamenti si ritrovano là dove le studentesse e ragazzine li aspettano per far conoscenza. La relazione procede tra alti e bassi ma gli amici di Bergamini sanno tutti che lei è molto gelosa. Dopo l’incredibile presunto suicidio, si scopre che c’è stato un aborto o forse sono stati due, si vede una foto dei funerali dove lei appare disperata ed è scortata da due guardie del corpo con gli occhiali. Ma erano solo due suoi cugini che non la perdevano di vista. Pochi giorni dopo i funerali raggiunge, a Vietri sul Mare, Lucchetti, un altro calciatore collega del defunto. Lui e la moglie testimoniano che con loro grande sorpresa non era affatto affranta, anzi tutt’altro, nei dieci giorni del soggiorno ha una storia con un calciatore della Salernitana che le presentano. Infine la Internò ha sposato un poliziotto. Insomma, la storia è ricca di particolari da scoprire, ma è giunto il momento in cui la morte di un giovane di 27 anni deve essere chiarita cancellando tutte le bugie che in 31 anni sono state dette. Si apre così il racconto di una regione che sembra essere territorio esclusivo della mafia, ma la mia tesi, tutta da dimostrare, è un’altra.
La mafia fa molti danni, in qualunque paese e città calabrese. Le cosche, i Piromalli, i Mancuso o chi volete voi, dominano su qualsiasi attività economica, in altri termini condizionano pesantemente l’economia regionale impedendo che essa si sviluppi, perché (checché ne dicano gli statalisti rossi e gialli) lo sviluppo c’è se esiste la concorrenza, il mercato. Ma tali danni enormi sono minori o uguali, fate voi, rispetto a quel che succede nella nostra società. La mafia ammazza l’economia perché la spreme a suo vantaggio come se fosse un limone. Sottrae risorse alle altre imprese e dunque rovina il mercato del lavoro (come facevano i proprietari latifondisti con i contadini) ma quel che avviene nella società, i femminicidi, gli omicidi, le risse, gli incidenti stradali, i furti, cioè tutto quello che non è opera di mafiosi ma di semplici cittadini, non produce altri danni enormi alla nostra vita quotidiana tanto da farla diventare un inferno?
A me pare che tutto sommato il fenomeno “sociale” non lo si consideri abbastanza per la semplice ragione che fa comodo a tutti sbattere il mostro in prima pagina, propagandare i processi alla mafia, mentre fatti di cronaca nera minori vengono lasciati nelle mani di investigatori maldestri o improvvisati. Ho fatto l’esempio della povera Serena Mollicone per la quale gli investigatori dovevano investigare su loro stessi, e dunque non cavarono un ragno dal buco, ma anche il caso Bergamini con tutti i suoi lati ambigui e oscuri è la dimostrazione di una Calabria “non mafiosa” che non funziona, che non persegue la giustizia, che procede con connivenze, intese, manovre.

Una Calabria che non viene a capo di niente, dove quattro persone per loro convenienza dicono di aver visto volare un asino e l’opinione pubblica deve crederci. Perché storicamente avviene questo, perché siamo così, da un lato citrulli creduloni, dall’altro ingenui o indifferenti? Un artista o uno storico potrebbero spiegarlo un po’!