Vai al contenuto

LA CRISI DELLA SANITA’CALABRESE: BANDO ALLE CIANCE, PER USCIRNE CI VUOLE UNO COME BONDI
Durante l'ultima campagna elettorale c'è stato un punto di programma che ha accomunato stranamente (ma non tanto) tutti i 4 candidati alla Presidenza: chiederemo al Governo di azzerare il debito sanitario calabrese e di affidare la sanità non più ad un commissario ma al presidente eletto.

Si tratta di capire perché la politica intende prendere il posto del commissario. Occhiuto ha quindi, appena eletto, cominciato il giro delle sette chiese a Roma per convincere Draghi a liquidare il commissario Longo e a varare una finanziaria per la sola Calabria che azzeri i debiti pregressi delle Asp. Leggete cosa scrive l’avvocato Ettore Jorio, docente di Diritto sanitario all’Unical, ma anche consulente della Regione, e infine opinionista: “Il primo dei risultati da concretizzare – lo predico da anni – è l’exit-strategy dal commissariamento ad acta. Ciò può avvenire ricorrendo ad un decreto legge che metta tempestivamente la parola fine al decreto Speranza (D.L. 150/2020) ovvero ad un provvedimento di revoca dell’attuale commissario Longo e la contemporanea nomina del presidente Roberto Occhiuto, con conseguente riorganizzazione del sistema della salute aziendale.
Insomma, è necessario riprendere a correre per approvare in Consiglio regionale una riforma strutturale della sanità calabrese, ampiamente condivisa con tutti gli attori protagonisti dell’assistenza e ben discussa nella sua sede legislativa, intesa a ridisegnare da capo la organizzazione della salute”
.

Se anche i massimi esperti – Jorio sta alla sanità calabrese come Caressa sta alle telecronache di calcio – indicano la strada, la linea è tracciata. Il ministro Speranza dovrebbe soltanto staccare un assegno per azzerare il nostro mare di debiti intestandolo ad Occhiuto. Poi magari Occhiuto nomina Jorio consulente e decidono insieme la cifra da mettere sull’assegno. Tanto paga Pantalone e ancora una volta la parolina magica “emergenza” sana tutto e arricchisce i soliti noti.
Speranza e il governo sarebbero certamente anche decisi a farlo l’assegno purché non sia in bianco e se qualcuno riuscisse a quantificare il debito, ma non a spanne, anzi in maniera contabilmente scientifica.

Ultimamente abbiamo sentito in tv la sardina Jasmine Cristallo definire sprezzatamente “tecnocrate” uno come Calenda che vorrebbe che un sindaco fosse innanzitutto un buon amministratore prima che un buon politico. Non vorrei che lo stesso termine dispregiativo fosse affibbiato a me e a chiunque osi sostenere che il ministro Speranza, Occhiuto e tutti i politici e gli esperti calabresi, prima di chiedere al governo di cancellare il debito, dovrebbero individuare Qualcuno in grado di quantificarlo con precisione. Un contabile. Un manager di grandi aziende e non un avvocato o un giurista.

La politica intera, cioè Speranza e tutti quelli che lo hanno preceduto, i partiti e tutti quelli che si sono occupati di sanità calabrese, a mio parere hanno la colpa di aver inviato in Calabria prefetti e generali per occuparsi di questioni contabili (e gestionali) sulle quali non avevano nessuna competenza. Chiedo perdono per aver usato questo sostantivo “competenza” che fa ormai il paio con il neoliberismo imperante, ma se non sbaglio, allorché si trattò di gestire il crac Parmalat non nominarono un militare ma venne investito Enrico Bondi (1934). Nel 2003 prima come commissario straordinario della Parmalat e poi come Amministratore Delegato del Gruppo Parmalat, Bondi ha esperito azioni revocatorie e risarcitorie nei confronti di banche, sia italiane che estere, al fine di ristabilire la par condicio creditorum e di saldare i debiti delle società del Gruppo Parmalat in amministrazione straordinaria (quantificati in circa 14 miliardi di euro). Bondi dovette venire a capo del sistema truffaldino che il braccio destro di Callisto Tanzi, Fausto Tonna, direttore finanziario della Parmalat, aveva messo in piedi. Un sistema truffaldino molto astuto, ben diverso da quello messo in piedi in ciascuna Asp calabrese, dove da anni si opera alla buona, senza fatture e documentazione, alla maniera di quei negozianti che il conto lo facevano a matita sulla carta da imballo.

In Calabria soltanto un manager del livello di Bondi potrebbe far ripartire le aziende sanitarie impostando una contabilità regolare dopo aver esattamente circoscritto e definito il mare di debiti accumulato in decenni dalla nostra sanità. Non si tratta solo del disavanzo certificato puntualmente dai tavoli interministeriali. Quello è stato messo nero su bianco nell’ultima riunione del 2020: 225,42 milioni, parzialmente coperto per 106,62 milioni. Ma nel disastro dei conti sanitari c’è molto di più: una massa di debiti verso i fornitori, che supera di poco il miliardo di euro, e i “buchi” delle varie aziende sanitarie e ospedaliere.

Stando a quanto certificato nel tavolo interministeriale un anno fa il debito verso i fornitori era di un miliardo e quasi 51 milioni di euro. L’Asp di Cosenza aveva contabilizzato 361 milioni, in aumento rispetto al 2018, Crotone 142 milioni (quasi 6 milioni in più sull’anno precedente), Catanzaro 93 milioni, Vibo Valentia 41 milioni e l’Asp di Reggio Calabria 137 milioni (valerio panettieri, nov 2020).
Poi ci sono gli ospedali: Cosenza 34 milioni circa, Catanzaro 65 milioni per il Pugliese Ciaccio, 129 milioni di euro al Mater Domini, il Grande ospedale metropolitano di Reggio Calabria aveva circa 37 milioni di euro di debiti verso i fornitori.

In Calabria la prima cosa a mancare sono i bilanci. “Il debito ingiustificato è un mostro che sta divorando la Sanità a danno dei cittadini e dei contribuenti e che determina, inevitabilmente, sottrazione di risorse alla cura della salute”. Lo ha affermato il procuratore generale della Corte dei conti della Calabria Maria Rachele Anita Aronica all’inaugurazione dell’anno giudiziario 2021.

“Nel 2020 – scrive Aronica nella sua relazione – sono state 3.525 le denunce presentate alla Procura regionale della Corte dei Conti.  Molti contenziosi sono risalenti nel tempo, circostanza che ha comportato notevoli difficoltà per l’imputazione delle responsabilità. Cito, a titolo esemplificativo i contenziosi il cui pagamento viene, infine eseguito (quindi dopo lungo tempo) solo con la nomina del Commissario ad acta”. Esempi di mala gestio si verificano in modo ricorrente nelle Aziende sanitarie, per i sistematici mancati e/o ritardati pagamenti. Si assiste, in definitiva, a una lievitazione esponenziale del debito che sfocia, frequentemente, nella nomina di un Commissario ad acta per l’esecuzione delle sentenze di condanna. Tutto ciò determina un incremento del debito, per interessi, spese e anche compensi del Commissario ad acta, che costituiscono danno erariale”.

A questo si aggiungono delle anticipazioni tesoreria, che producono altri debiti per interessi e compensi sull’anticipazione. Per Aronica il quadro è sconfortante, e cita come esempio «la impossibilità di ricostruire correttamente la situazione finanziaria della Asp di Reggio Calabria nel periodo 2013- 2019, atteso che i dati riportati nelle segnalazioni contabili trasmesse al ministero della Salute – in mancanza di documenti contabili approvati – risultano evidentemente inattendibili. A tal proposito, sia sufficiente evidenziare che la mole debitoria della Asp non trova alcuna rappresentazione in bilancio».

Per far capire anche chi non ha dimestichezza con bilanci e contabilità, nella sanità calabrese mancano i documenti gestionali a supporto di quelli contabili. In ciascuna azienda sanitaria i debiti messi nella parte passiva del bilancio non hanno pezze di appoggio, in quanto non si è in grado di individuare neppure i creditori.

Si pensi all’ «assoluta confusione contabile-amministrativa che connota la Asp di Reggio Calabria, dalla quale emergono alcuni punti fermi. In primo luogo, l’azienda non è mai stata in grado di ricostruire la propria massa passiva, che sembra comunque non inferiore a 500 milioni di euro di debiti potenziali. Questa massa debitoria non può essere saldata a causa della impossibilità di individuare correttamente i creditori. A voler essere ottimisti ci sono almeno due miliardi di euro di debiti non accertati nella sanità calabrese, un fardello grosso decenni che ha generato una marea di pignoramenti. Ogni tre mesi infatti le varie aziende dichiarano “impignorabile” giusto il necessario per pagare stipendi e gestione. Il resto sparisce. E intanto i tempi di pagamento si allungano ulteriormente, quasi 900 giorni stando all’ultimo verbale. Tutto questo in un periodo di tempo lungo 10 anni durante il quale è stata lentamente erosa la distribuzione dei fondi destinati alla sanità calabrese. Dal 2006 al 2019 si è passati da 2,9 a 3,3 miliardi distribuiti dallo Stato, in Lombardia si è passati da 15 a 30 miliardi.

Ecco perché Occhiuto e tutti i politici calabresi a Roma troveranno un muro di gomma. Non possiamo staccarvi un assegno in bianco, sul quale sarete voi poi ad aggiungere la cifra, prima è necessario stabilire a quanto ammonta il debito pregresso. Ma sul come fare a stabilirlo, destra sinistra e centro, rossi e neri, discutono. Longo o Occhiuto? Io, che se mi chiamano tecnocrate non mi offendo, dico: nessuno dei due, uno come Bondi.