Quello sulla “difficoltà ad arrivare alla fine del mese” è uno di quei topoi fritti e rifritti, un discorso pseudo-meteorologico per intercalare qualche conversazione alla deriva; forse, in tempi di estrema carenza empatica, qualcosa di ancora più insostenibile. Mai come adesso i micragnosi sono stati tenuti al bando. Si invoca, per contro, apertura, ottimismo: peste ai profeti di sventura.
Eppure, se qualcosa ci insegnano le sacre scritture, è che la stessa solfa, ripetuta neghittosamente per anni e anni dallo stesso orante, fosse anche per ragioni vilmente e materialmente conservative, può di punto in bianco risvegliarci singolarmente dal torpore con una solenne sferzata qualitativa. Del resto il panettiere che mercanteggia non può essere al corrente di tutti i prodigi del pane.
Così ogni tanto il Sole 24 ore e qualche TG serale hanno distrattamente e quasi indifferentemente spiattellato l’effettiva perdita di potere d’acquisto cui l’Italia è andata soggetta nell’ultimo ventennio.
Se si deve parlare di potere d’acquisto in maniera integrale e spregiudicata, ossia del rapporto fra singole entrate e costo della vita, è bene cercare di rifarsi ai beni di prima necessità. Capita infatti spesso che per smentire tale piaga qualcuno millanti in contraltare il drastico calo dei prezzi di alcuni “status” come i servizi di comunicazione e gli spostamenti internazionali (telefonia ed internet al ribasso, aerei low cost ecc.), ma sembra un tantino proditorio collocare questi ultimi fra i beni non dovuti, dato che l’odierna cultura li ha elevati, o meglio, li ha derubricati al rango di necessità, rendendoli indispensabili ancor prima che l’umana concupiscenza li pretendesse. È curioso che ad esempio un bene oggi di autentico lusso come un cavallo, rappresentasse per la cultura di ieri una estrema necessità. Ciò dimostra in che sentiero ingarbugliato andrebbe a cacciarsi chi vorrebbe misurare l’effettiva povertà di un uomo, ma qui non si ambisce che a fare conti alla buona enucleando un semplice raffronto fra classi calato ad un livello storico. L’importante è non confondere necessità con lusso.
Ai fatti, sono in questi anni passati sottogamba, specie fra gli attuali beni di prima necessità, alcuni ingiustificabili rincari, proprio nel momento in cui dall’altro lato i salari medi faticano a tenere il contatto con la realtà economica, quasi si trattassero di emolumenti noverati in biglie e bottoni.
Ultimo della serie, la lievitazione del prezzo del pane fino alla quota del 30%.
A questo scempio è più che facile opporre la complessità di un meccanismo inesorabile quanto incomprensibile, che riconduce, retrocedendo di causa in causa, alla constatazione che l’homo sapiens abbia toppato alla grande.
Meglio allora, piuttosto che mangiare, pigliare qualche volo e tentare al fine di distrarci un innocente incursione ad Honolulu. Meglio lasciarci alle spalle il nostro gretto tugurio. A meno che il globalismo non tenga in caldo qualche diavoleria ideologica per cui i viaggi stessi siano divenuti la nostra casa, il nostro smisurato e crepuscolare hortulus conclusus: stanze d’affitto e abitacoli volanti intercambiabili come avanguardia dello spazio domestico.
Non me ne stupirei oltremodo, ripensando alle parole del megafono Mario Monti, il cui impasto verbale era a suo tempo ed è ancora il veicolo collettaneo di tutti i miti del “pilota automatico delle riforme”, del mondo materiale che traccia da sé il suo percorso, del “così è e dobbiamo prenderne atto”, ossia, in ultima istanza, della totale impotenza politica.
Per Mario Monti, come per gli altri edificatori della “Città del Sale” (una specie di Waterworld deregolamentato, ma in compenso strapieno di isolotti) è ormai più che necessario introiettare le posture e le imposture della globalizzazione in atto. L’irreversibilità dei processi globalizzanti rende il lavoro sempre più dislocabile e flessibile, e il lavoratore sempre più rassomigliante a un nomade perenne, sradicato, la cui schiena in linea evolutiva accoglierà presto una protuberanza carnosa che fungerà da zaino. Di conserva, ciò che un tempo costituiva “dimora stabile”, diviene poco alla volta deteriore in quanto concetto, e cattivo investimento quanto a proprietà giuridica. Del resto, già da un po’ di tempo, l’acquisto di un’abitazione è divenuto per un semplice stipendiato un lusso di tale portata che non vi è quasi più spazio per esso, né materiale, né onirico. Il fatto è che nessuno di noi ha mai sospettato che questi signori scherzassero. Ogni loro sortita, anche la più marginale, è calibrata al millesimo e affilata su un coté ben definito.
La sola cosa rassicurante in questo alveare globale è che il lavoro e la sbobba non ci verranno mai a mancare finché ci accontenteremo di una cella.