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 GLI ITALIANI E L’IRRAZIONALE
“L’irrazionale ha infiltrato il tessuto sociale. Per il 5,9% degli italiani (circa 3 milioni) il covid non esiste, per il 10,9% il vaccino è inutile. E poi: il 5,8% è convinto che la terra è piatta, per il 10% l’uomo non è mai sbarcato sulla luna, per il 19,9% il 5g è uno strumento sofisticato per controllare le persone. Perché sta succedendo? E’ la spia di qualcosa di più profondo: le aspettative soggettive tradite provocano la fuga nel pensiero magico. Siamo nel ciclo dei rendimenti decrescenti degli investimenti sociali. Per l’81% degli italiani oggi è molto difficile per un giovane ottenere il riconoscimento delle risorse profuse nello studio. Il rischio di un rimbalzo nella scarsità: ecco i fattori di freno alla ripresa economica e le incognite che pesano sul risveglio dei consumi”.

E’ questa la preoccupante sintesi del Rapporto Censis per l’anno 2021 pubblicato il 3 dicembre!  A margine delle rigorose e fredde cifre della statistica sorge una domanda: perché, nella società italiana e occidentale in genere, c’è tanta sfiducia nella scienza; tanta ribellione davanti a provvedimenti ritenuti dai governi indispensabili per la salute della popolazione, per mantenere attiva la produttività necessaria alla vita del Paese, per consentire la formazione dei giovani nel sistema scolastico e le attività culturali e turistiche fondamentali in un Paese come l’Italia.  E’ capitato anche a me di incontrare persone colte, che di fronte alla pandemia, alle limitazioni dei rapporti sociali e familiari e degli spostamenti, al susseguirsi di ordinanze restrittive della libertà personale come il green pass, rivelano insofferenza e ostilità verso medici specialisti e governo.  Non sopportano che la scienza non possa dare risposte rassicuranti e definitive alle ansie della società.  Una cara amica, docente preparata e responsabile, lamentava l’incertezza degli scienziati sulle scelte per combattere il covid, metteva in dubbio le statistiche ufficiali del Ministero sul rapporto dei ricoverati in terapia intensiva tra vaccinati e non vaccinati, e quelle sulle percentuali dei decessi, manifestando sfiducia nelle istituzioni e nelle informazioni ufficiali.

Anche i canali tv privati e la stessa RAI, promuovendo ogni sera dibattiti accesi in cui uomini di cultura e politici poco esperti di medicina dibattono alla pari con medici specialisti e scienziati, contribuiscono ad accrescere la confusione  già diffusa sui social,  dove ciascuno, magari per farsi notare, ha la possibilità di esprimere liberamente teorie assurde.

Bisogna interrogarsi sul perché una componente tutt’altro che marginale della società prende le distanze dal discorso razionale. L’irrazionalità non è soltanto una distorsione psichica legata alla pandemia, bensì l’esito dell’erosione del lungo ciclo storico-sociale in cui la ragione costituiva lo strumento per proteggersi dall’incertezza dell’ignoto e dai rischi esistenziali.
Ma oggi la realtà razionale tradisce sempre più spesso le aspettative soggettive che essa stessa ha alimentato. Ciò dipende dal fatto che siamo entrati in un nuovo ciclo, quello dei rendimenti decrescenti degli investimenti sociali. E questo determina un circolo vizioso; bassa crescita economica, ridotti rientri in termini di gettito fiscale, quindi l’innesco della spirale del debito pubblico, una diffusa insoddisfazione sociale, quindi la ricusazione del paradigma razionale.

Il Censis, nel suo rapporto “La società italiana al 2021″ (pp. 5-6), non riporta solo una serie di statistiche, ma tenta anche un’analisi che spieghi i cambiamenti intervenuti nel modo in cui la società affronta ed elabora psichicamente una situazione che, dall’inizio del nuovo millennio, è in rapida trasformazione e di cui la pandemia è solo un aspetto: la ragione non è più percepita come strumento capace di rendere conto della realtà e non protegge più dall’incertezza dell’ignoto e dai rischi esistenziali.
I filosofi greci che, fin dal VI sec. a.C. hanno cercato di spiegare la realtà senza ricorrere a credenze e miti tradizionali come avveniva prima, hanno fatto ricorso alla ragione: le idee platoniche e la logica aristotelica hanno rappresentato nel mondo antico la forma più alta di comprensione razionale del mondo. Le correnti filosofiche successive e la stessa filosofia cristiana medioevale da S. Agostino a S. Tommaso hanno proseguito su questa strada nell’intento di offrire una rappresentazione del mondo razionale e salvifica per l’umanità.
Da Cartesio con il suo cogito all’idealismo e al positivismo del secondo Ottocento, i filosofi hanno rassicurato l’umanità, offrendo “certezze scientifiche” sulla possibilità di un continuo miglioramento delle condizioni di vita delle società occidentali.

Sono proprio queste società avanzate, come quella italiana, che avvertono il cambiamento attuale non come provvisorio o causato dalla pandemia, ma come strutturale e legato a fattori sempre più evidenti:

  • l’ enorme crescita della popolazione mondiale e le conseguenti pressioni della parte più povera per sfuggire alla precarietà dell’esistenza e  partecipare al benessere delle società più ricche;
  • l’ inquinamento ambientale conseguente alla crescita mondiale della produzione e dei consumi, favorita dalla globalizzazione;
  • la carenza di fonti energetiche e la necessità di conversione per una produzione energetica meno inquinante;
  • lo spostamento della produzione in Paesi che hanno un costo del lavoro inferiore e che sono meno sensibili all’impatto inquinante;
  • la difficoltà di molti giovani a trovare lavoro nel nostro Paese, anche a causa dell’automazione delle catene produttive;
  • lo scarso interesse pubblico verso la formazione scolastica in Italia negli ultimi venti anni;
  • la rinuncia dello Stato a farsi promotore di investimenti nei settori chiave delle infrastrutture strategiche;
  • l’assenza di una visione politica strategica dei partiti per scelte decisionali a carattere clientelare ed elettorale.

Di fronte a tali mutamenti epocali che suscitano insicurezza e sono difficili da elaborare a livello razionale, può succedere che si preferiscano risposte meno complesse che ricercano le cause nei complotti di pochi potenti, o di lobby a livello mondiale.
Sul piano storico possiamo ipotizzare che la fine delle ideologie, dopo il crollo del blocco comunista negli anni novanta, abbia favorito la convinzione che il libero mercato globale avrebbe risolto ogni problema. Non è stato così: si è incentivato il narcisismo del successo individuale a tutti i costi, allentando i valori della solidarietà e dell’uguaglianza, e provocando in molti quel senso di emarginazione che ha messo in discussione la fiducia nell’autorità pubblica e nel futuro.