In un epoca in cui la scienza si fonde con la politica in un ideogramma sempre più sintetico, il minimo salariale di uno showman o di una showgirl, di un opinionista che asseconda il verso delle pale, di una radical chic che cavalca come delfini gli arcobaleni delle magnifiche sorti, o di una qualsiasi Mirta Merlino, sarebbe quello di augurare l’ascesa al quirinale a qualche noto occhiale medico o scientifico, stante il più che stabile teorema che l’intelletto puramente politico sia divenuto cosa esigua quanto un seme di papavero, e che una buona botta di materialismo curriculare non possa fare che buon sangue nelle vene della nostra anemica Italia.
Se poi a questa sana e collaudata regola si appende quella ancora più collaudata del “primo in qualche cosa” (il primo presidente con la barba rossa, il primo presidente mancino, il primo presidente vegano, il primo presidente idrofobo…) allora la barca è bella e imbarcata, perché nella politica quanto nello spettacolo la novità fa setta: il fruscìo della scopa nuova è musica delle sfere.
Alla Dandini nella fattispecie, dal ballatoio di Propaganda Live, è piaciuto comporre lo spartito perfetto, l’optimum della seduzione, declinando il tutto sul tono rosato che contraddistingue gli ambiti del “girl power”: roba che farebbe andare in brodo di giuggiole anche il palato più impenitente.
Nella rosa incarnantina delle possibili candidature alla presidenza della Repubblica, la Dandini porrebbe senz’altro, accanto all’astronoma Alessandra Celletti, l’astrofisica Simonetta Di Pippo e ancora la senatrice a vita Fabiola Gianotti, la rettrice dell’Università La Sapienza Antonella Polimeni, la direttrice dei Musei Vaticani Barbara Jatta, la nostra corregionale Amalia Bruni la quale “ha scoperto il gene dell’alzheimer” ha sottolineato la Dandini, esito il quale evidentemente non risparmia alcuni personaggi, la presentatrice in primis, da altri incipienti e numerosi torpori cerebrali e cortocircuiti neuronali sempre in agguato.
Annunciare l’ovvietà che io riconosca comunque il valore delle suddette donne desterebbe nei riguardi dello scrivente la presunzione di una coda di paglia il cui pur legittimo possesso è una di quelle cose che risparmia almeno il mio fondoschiena. Perciò mi tacerò, delegando alla carta e alla sua nota virtù canterina il sommo obbietto.
Certo, a conti fatti, non intendo lesinare alla Dandini il suo bravo nove in condotta soltanto per aver provato a contrapporre dei nomi più o meno casuali all’uomo di Arcore, la cui unzione, non certo carismatica, fra vignette salaci sparse qua e là su Facebook, e tardive rivalutazioni di acrobati capaci di compiere il triplo salto mortale, pende ostinata sulle nostre teste incredule.