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GLI OBIETTIVI FISSATI DALL’UE PER I RIFIUTI URBANI, CONDIVISI DALL’ITALIA, VENGONO SISTEMATICAMENTE DISATTESI
Il problema italiano è che siamo ancora distanti dagli obiettivi Ue, in particolare sul fronte “discariche”: la nostra produzione di rifiuti urbani è infatti di circa 30 milioni di tonnellate e il tasso di conferimento in discarica è 30 volte più alto di quello dei Paesi benchmark europei (Svizzera, Svezia, Germania, Belgio e Danimarca). Nel frattempo le procedure d’infrazione “aperte” sono costate all’Italia oltre 750 milioni di euro all’erario, di cui 152 versati per sanzioni forfettarie e circa 600 a titolo di penalità.

seconda parte

L’economia circolare si nutre di filiere industriali e dei relativi impianti. La realtà non può essere esorcizzata. Gli obiettivi fissati dalla Ue per i rifiuti urbani e condivisi dall’Italia sono noti: 65 per cento di riciclaggio e conferimento in discarica sotto il 10 per cento. Il che presuppone che il restante 25 per cento venga avviato a recupero di energia tramite combustione, i famosi inceneritori. E infatti la Lombardia è la Regione che più si avvicina a quel modello con circa il 60 per cento di materiale riciclato, meno del 10 per cento in discarica e il resto incenerito con recupero di energia. Eppure Milano ha conosciuto vent’anni fa una crisi come quella romana di questi anni. Ora, quanti impianti per le varie tipologie sono in costruzione dalla Toscana in giù? Nessuno. Il ministero dell’Ambiente che dovrebbe dare vita a un immediato piano industriale che, secondo i calcoli di Assoambiente, richiede investimenti per circa 10 miliardi e sveltire procedure autorizzative che durano lustri, si culla nell’illusione del «piccolo è bello». Mentre il ministro competente accoglie a braccia aperte ogni comitato che si opponga a qualsiasi impianto. L’esatto contrario di quanto andrebbe fatto.
Servirebbero almeno 4,5 miliardi di euro di investimenti per risolvere il problema della gestione dei rifiuti in Italia, cioè un quarto dei soldi con cui il nostro paese finanzia ogni anno i sussidi ambientalmente dannosi legati a combustibili fossili. Questi investimenti sono necessari per costruire nuovi impianti di recupero energetico e di frazione organica, che consentirebbero di generare fino a 11,8 miliardi di euro di indotto economico, con un gettito per lo Stato di 1,8 miliardi e una riduzione della Tari per le famiglie italiane superiore a 550 milioni. Dal punto di vista ambientale, la riduzione del deficit impiantistico porterebbe ad una riduzione di 3,7 milioni di tonnellate di emissione di CO2, pari al totale delle emissioni generate dai settori manifatturieri della produzione del metallo, del ferro e dell’acciaio. FINE
Queste stime sono contenute nei “messaggi chiave” numero 8 e 9, tra i dieci enunciati nel Position Paper elaborato da The European House — Ambrosetti in collaborazione con A2A, la più grande multiutility italiana. Il documento (“Da Nimby a Pimby. Economia circolare come volano della transizione ecologica e sostenibile del Paese e dei suoi territori”), presentato al Forum Ambrosetti di Cernobbio, si pone un duplice obiettivo: la definizione di uno scenario strategico per la gestione circolare dei rifiuti, quantificando prima il reale fabbisogno impiantistico delle Regioni italiane, e delineando poi un modello di sviluppo basato sul superamento della sindrome di Nimby (1 impianto contestato su 3 riguarda la gestione dei rifiuti) e su tempi certi per la realizzazione degli impianti. Tempi che scontano oggi una eccessiva lunghezza della fase di progettazione e autorizzazione che in media assorbe il 60%.Il tutto per rispondere ai diktat del Circular Economy Action Plan dell’Unione europea, adottato lo scorso marzo 2021, che punta su una gestione dei rifiuti orientata al recupero e alla riduzione del ricorso alla discarica, fissando per il 2035 il target di riciclo effettivo di rifiuti urbani al 65% e di conferimento in discarica inferiore al 10%.
Il problema italiano è che siamo ancora distanti dagli obiettivi Ue, in particolare sul fronte “discariche”: la nostra produzione di rifiuti urbani è infatti di circa 30 milioni di tonnellate e il tasso di conferimento in discarica è 30 volte più alto di quello dei Paesi benchmark europei (Svizzera, Svezia, Germania, Belgio e Danimarca) per un totale di 6,3 milioni di tonnellate annue, che equivalgono al totale conferito in discarica dalla Germania e da altri 15 Paesi Ue. In pratica, l’Italia raggiunge una quota del 21% dei rifiuti e solo 4 Regioni — Lombardia, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia e Campania — si posizionano al di sotto del 10% fissato dal Piano Ue. La maglia nera spetta alla Sicilia che utilizza le discariche per trattare più della metà (58%) dei rifiuti urbani generati. Nel complesso, il dato più allarmante è che la capacità residua delle discariche italiane si esaurirà entro i prossimi 3 anni, con differenze significative tra Nord (4,5 anni) e Sud (1,5 anni). Chi sta peggio è la Sardegna che presenta una vita residua delle proprie discariche pari a 0,5 anni.

Nel frattempo le procedure d’infrazione “aperte” sono costate oltre 750 milioni di euro all’erario, di cui 152 versati per sanzioni forfettarie e circa 600 a titolo di penalità. Nel confronto europeo, siamo di gran lunga il paese che ha dovuto versare la cifra maggiore: Grecia (350 milioni), Spagna (122 milioni) e Francia (91 milioni) si collocano ben distanti. Tra i principali motivi di infrazione si annoverano: la presenza di discariche abusive (ancora quasi 200 attive); la gestione dei rifiuti in Campania (non in linea con gli standard europei per il recupero e lo smaltimento dei rifiuti); e la mancata conformità delle infrastrutture di gestione e trattamento delle acque reflue (11% sul totale delle infrazioni nel decennio).Emblematico è il caso degli impianti dedicati alla frazione organica: ad oggi, solo la metà di questi rifiuti è trattata secondo canoni avanzati che permettono il recupero combinato di materia (compost) e di energia (biogas).
Per raggiungere gli obiettivi europei, l’Italia dovrà ricorrere anche al recupero energetico di ulteriori 3,1 milioni di tonnellate di rifiuti urbani, pari al 53% in più del totale ad oggi. Il paese avrà quindi bisogno di realizzare tra 6 e 7 nuovi impianti di termovalorizzazione dei rifiuti urbani, con un investimento complessivo compreso tra 2,2 e 2,5 miliardi di euro. A ciò si aggiunge il fabbisogno relativo ai fanghi di depurazione, il principale residuo dei trattamenti depurativi delle acque reflue: l’ottimizzazione del trattamento dei fanghi ne consentirebbe di avviare a recupero energetico ulteriori 850 mila tonnellate, richiedendo la costruzione di 8 linee aggiuntive per il recupero energetico all’interno di termoutilizzatori già esistenti sul territorio nazionale, o previsti secondo le stime del Position Paper, per un controvalore di investimenti di circa 700 milioni.