Vai al contenuto

IL GAP FRA PRODUZIONE DI RIFIUTI E LA CAPACITÀ IMPIANTISTICA DI TRATTARLI
I rifiuti li puoi raccogliere in tanti modi, ma quel che è certo è che poi vanno trattati. E tutte le diverse tipologie raccolte hanno bisogno di filiere industriali e tecnologiche. Non mancano infatti solo gli impianti di destinazione finale, ma anche quelli di riciclo.

prima parte

Nel 2020 ogni calabrese ha prodotto in media 381,36 kg di rifiuti a differenza dei 405 kg dell’anno precedente. Un dato che ci posiziona al terzultimo posto della classifica nazionale dietro solo a Molise e Basilicata. In controtendenza con i dati europei, tra i pochi effetti collaterali positivi della pandemia c’è senza dubbio la riduzione della produzione dei rifiuti in tutta Italia. È dal 2016 che i rifiuti dichiarati dai Comuni della Calabria sono in calo anno dopo anno. Il rapporto 2021 diffuso dall’Ispra, elaborato su un campione di 177 comuni calabresi su 404, ci illustra dati alla mano tutte le luci e le ombre del sistema. Le province più virtuose nella produzione dei rifiuti sono state Cosenza, Vibo Valentia e Reggio Calabria.
La Calabria nel 2020 è riuscita a differenziare ben il 52,2% dei rifiuti prodotti. Un dato prodigioso se si pensa che nel 2016 la percentuale di raccolta differenziata era appena il 33,2%. (dati: Valeria Esposito Vivino)
L’idea di realizzare impianti di stoccaggio, come semplici discariche, e trattamento dei rifiuti piace a non pochi amministratori perché, si veda il caso di Pianopoli (CZ), attraverso la spazzatura, attraverso le concessioni e le tariffe, si possono ottenere entrate preziose per le esangui casse dei nostri enti locali oltre che creare qualche posto di lavoro. E’ un rischio, più o meno calcolato, ma gli oppositori ci sono sempre. E non è solo un effetto del NIMBY, l’acronimo che ormai ogni vocabolario riporta come la “forma di protesta attuata da un gruppo di persone o da una comunità locale contro opere e attività di interesse pubblico che hanno o potrebbero avere effetti negativi sulla loro area di residenza”. Nel 2019 c’è stata una forte protesta nell’area del Pollino, tra Frascineto e Castrovillari, verso la proposta avanzata dal sindaco di Castrovillari, Antonio Lo Polito, di realizzare un impianto per il trattamento dei rifiuti nel vecchio stabilimento di Italcementi. In occasione di quella protesta Ferdinando Laghi, attuale consigliere regionale di opposizione, indicò dei parametri fondamentali per la realizzazione delle strutture di stoccaggio e smaltimento dei rifiuti: distanza sufficiente (almeno più di due chilometri) dall’abitato, vicinanza a grosse arterie stradali per consentire un trasporto agevole, uso di tecnologie per il controllo delle emissioni.
Anche la protesta del “Comitato popolare tutela Savuto” ha avuto successo. L’ipotesi da evitare era quella di creare un ecodistretto con discarica di servizio a Grimaldi, piccolo Comune di poco più di millecinquecento abitanti del Savuto, al confine tra Cosenza e Catanzaro. L’idea dell’impianto è stata ritirata, come voleva il Comitato, proprio per la vicinanza al letto del Savuto. E’ quello che succede in tutte le proteste antidiscarica degli ambientalisti calabresi. Quasi tutti gli impianti contestati sono vicini a zone “sensibili”: corsi d’acqua e falde acquifere, oppure al confine tra diversi Comuni. L’iniziativa di un Comune si scontra con l’opposizione dell’altro, oppure, come nel caso decennale di Scala Coeli, con altre vicinanze. L’aggettivo “vicino” è il passe-partout a tutto. Si pensi all’idea di istituire eco-distretti, impianti e discariche in zone a bassa densità abitativa. La sindrome Nimby dovrebbe essere scongiurata, e invece no, l’argomento è la “vicinanza”. Quello di Scala Coeli sarebbe un territorio ideale per realizzare impianti per il trattamento dei rifiuti, perché è un paese spopolato con poco più di ottocento abitanti, con molto territorio a disposizione, quasi 68 chilometri quadrati. Per di più, l’abitato è arroccato su un monte, pertanto il Dipartimento ambiente della Regione aveva pensato nel 2010 a una discarica per rifiuti speciali non pericolosi di 93mila metri cubi. Ma Lega Ambiente si è opposta per la vicinanza della struttura al letto del fiume Nika, ai confini tra il basso Jonio cosentino e il Crotonese. La vicinanza al fiume non è stato il solo problema, nella zona resistono ancora attività agricole importanti e ci sono, quindi, vincoli territoriali.
Nel 2015 l’azienda concessionaria ha richiesto l’ampliamento della cubatura così gli ambientalisti hanno scoperto che i terreni su cui è stata realizzata la discarica non erano ancora sdemanializzati. I militanti di Legambiente si sono rivolti al Tar contro il Dipartimento agricoltura della Regione, che aveva dato parere positivo all’ampliamento e, come se non bastasse, hanno denunciato il tutto anche alla Procura di Castrovillari (cit. Saverio Paletta). Tra azioni legali e proteste non interessa a nessuno dove finiscono i rifiuti prodotti. Spesso finiscono all’estero, con costi ingenti che pagano pur sempre i contribuenti, e trasporti su gomma che anch’essi inquinano. Ma “Occhio Che Non Vede” è l’altra sindrome che affianca il Not In My Back Yard.
In Sicilia oltre il 70 per cento dei rifiuti urbani continua a finire in discarica e buona parte delle regioni centro-meridionali esporta i suoi rifiuti al Nord o fuori dall’Italia. In tutte le città in cui i cassonetti rimangono saturi per giorni il problema non sta nella raccolta ma nel fatto che non si sa dove metterli. Al Nord invece le situazioni critiche concernono i rifiuti di origine industriale, che non trovano sbocco negli impianti nazionali.
Questo scarto fra domanda e offerta è risolto con metodi pratici dalle ecomafie sempre presenti dove ci sono guadagni facili e business realizzabili in breve tempo. Per tutti questi problemi c’è un’unica soluzione assolutamente chiara ed evidente per chiunque sia dotato di buon senso, secondo Chicco Testa (Corsera, 12/7/2019): realizzare un numero di impianti adeguato che colmi il gap fra produzione di rifiuti e la capacità impiantistica di trattarli. Senza questo non sarà certo l’aumento della raccolta differenziata a risolvere il problema. I rifiuti li puoi raccogliere in tanti modi, ma quel che è certo è che poi vanno trattati. E tutte le diverse tipologie raccolte hanno bisogno di filiere industriali e tecnologiche. Non mancano infatti solo gli impianti di destinazione finale, ma anche quelli di riciclo.Per esempio della frazione umida che rappresenta circa il 40 per cento della raccolta differenziata, nonostante alcune eccellenti realtà collocate quasi esclusivamente nel Nord del Paese. Sembra che per alcuni l’espressione «economia circolare», la frontiera che l’Ue ha stabilito per i prossimi decenni, sia una specie di mantra consolatorio che avrebbe la capacità, se ripetuto più volte e ad alta voce, di far scomparire i rifiuti.
(continua)