Dopo la vittoria alle elezioni regionali del 23 novembre 2014, il presidente Mario Oliverio varò prima un giunta politica, poi una giunta tecnica e infine una giunta con “mix” tra politica e tecnica. Un percorso accidentato cominciato solo due mesi dopo il successo alle Regionali, il 25 gennaio, e grazie all’approvazione, in Consiglio regionale, di una modifica dello Statuto che eliminava ogni vincolo numerico nella nomina di assessori esterni. La prima giunta, di fatto, era un “monocolore” del Pd, ed era composta da soli quattro assessori. Ma questa mini squadra di governo durò praticamente un giorno, finendo subito nell’occhio del ciclone per le dimissioni della Lanzetta.
A giugno 2015 dopo l’inchiesta “Rimborsopoli” il governatore azzerò totalmente il suo primo esecutivo e insediò la sua seconda Giunta, che si presentò con un profilo marcatamente tecnico tanto da esser definita la giunta dei “proff.” (con tanti docenti universitari come Antonio Viscomi vicepresidente, con delega al Bilancio e alla Programmazione). Anche esponenti della maggioranza regionale di centrosinistra, guidati dal consigliere ed ex assessore Guccione, invocarono allora un rapido ritorno a un esecutivo essenzialmente politico.
Il senatore Nico D’Ascola all’opposizione di Oliverio lo attaccò: Che senso ha nominare gli assessori esterni distinguendoli dai consiglieri? Tanto valeva candidarli facendo ricevere loro la legittimazione popolare. E’ questo che il cittadino non capisce e che lo allontana dalla politica, il fattore rappresentanza che egli perde a vantaggio di una politica che si ostina a calare dall’alto le scelte che l’elettore non può governare in un processo di estraniazione.
Occhiuto nel 2021 ha ricominciato dal solco tracciato da Oliverio il quale, è chiaro, ebbe la grana della riduzione dei membri del Consiglio regionale, passati da 50 a 30, così come deciso dal governo Monti. Il taglio, per i politici calabresi, è stato un vulnus terribile per cui alla perdita di 20 poltrone Oliverio rimediò con la modifica dello Statuto e la possibilità di nominare sino a sette assessori esterni, cioè tutti.
Gli disse allora Mimmo Tallini di FI: «Una riformicchia che serve solo a sistemare i conflitti interni al centrosinistra».
Occhiuto, allora, che fa un mese dopo la sua scontata vittoria elettorale? Lo ricostruisce bene Pietro Bellantoni (i Calabresi), su sei assessori, poi diventati sette, soltanto due sono stati votati: Gianluca Gallo (Fi, quasi 22mila voti) e Fausto Orsomarso (Fdi, 9mila).
Tutti gli altri sono componenti esterni, vale a dire: Giusi Princi, vicepresidente ricolma di deleghe (Istruzione, Lavoro, Bilancio, Città metropolitana di Reggio); Tilde Minasi (Politiche sociali); Rosario Varì (Sviluppo economico e Attrattori culturali); Filippo Pietropaolo (Organizzazione e Risorse umane); infine l’ultimo arrivato, Mauro Dolce (Infrastrutture e Lavori pubblici).
Il minimo comune multiplo di questi esterni è che hanno sponsor potenti.
La vice di Occhiuto, Princi, è una dirigente scolastica del Liceo scientifico “Vinci” di Reggio, ma arriva in Giunta per suo cugino, non certo per aver ospitato nella sua scuola vari convegni con politici nazionali (es. la Carfagna). Suo cugino è Ciccio Cannizzaro, deputato di Forza Italia, il quale nella scorsa legislatura all’allora presidente Jole Santelli impose il nome di Domenica Catalfamo. Un altro numero uno di Fi in Calabria, Giuseppe Mangialavori, ha imposto a Occhiuto la nomina del suo amico vibonese Rosario Varì. E’ stato consigliere comunale a Vibo col sindaco Elio Costa, poi assessore comunale all’Istruzione, da diversi anni vive a Roma. Anche lui ha un cugino, l’avvocato vibonese Paolo Petrolo nominato lo scorso anno dalla giunta guidata da Jole Santelli quale commissario straordinario dell’Aterp calabrese.
L’assessore Tilde Minasi è stata indicata dal leader della Lega Matteo Salvini, mentre Pietropaolo dalla commissaria regionale di Fdi Wanda Ferro.
Entrambi si erano candidati alle elezioni dello scorso ottobre senza essere rieletti. Poco male, si chiude una porta e si apre un portone, la leghista Minasi, fresca di nomina come assessore regionale alle politiche sociali, il giorno dopo viene nominata al Senato per un caso del destino, la morte di un senatore. Non ha ancora deciso cosa fare, intanto è andata a votar per il Colle. A Mauro Dolce, professore di Tecnica delle Costruzioni presso l’Università di Napoli Federico II oltre che DG presso il Dipartimento Nazionale della Protezione Civile (DPC), sono state affidate le deleghe per le risorse che arriveranno dal PNRR. Tutti lo considerano un ripiego di Occhiuto che avrebbe voluto Bertolaso (da sempre il tecnico preferito dai berlusconiani) dal quale ha ricevuto un cortese rifiuto e un suggerimento, appunto il nome di Dolce.
Bellantoni nel suo articolo ha anche trattato le problematiche della nomina di assessori esterni, ormai prassi consolidata in tutte le regioni. Scegliere come assessori tecnici ed esperti sembra non soltanto unafacoltà legittima dei governatori ma anche l’esempio di un sano pragmatismo per affrontare problemi complessi. Il rovescio della medaglia è dato dalle pretese dei “dante causa” o sponsor che stanno dietro le quinte. Gli esterni possono essere competenti e bravissimi, ma cosa succede se Cannizzaro e Mangialavori, Salvini e Ferro, o Bertolaso stesso, entrano in rotta di collisione con Occhiuto? E’ lo stesso inconveniente che ha fatto arenare la riforma sanitaria delle Asl, pur nata con le migliori intenzioni. I manager con ricco stipendio dovevano essere chiamati per apportare al vertice delle aziende competenze di buona amministrazione, invece le nomine politiche lottizzate hanno reso i manager delle semplici marionette nelle mani di chi li aveva issati in cima. I conti che dovevano saper controllare sono scoppiati, i debiti fuori controllo, i bilanci non si usa nemmeno più farli. I manager sono dei semplici esegui ordini per cui la politica ha continuato a fare il bello e cattivo tempo senza però più metterci la faccia.
E’ una costante gattopardesca del nostro ordinamento (fatta la legge trovato l’inganno) quella di cambiare tutto per non cambiare nulla. Il federalismo sembrava il mezzo amministrativo più adatto per rispondere alle esigenze ravvicinate delle popolazioni solo che le Regioni, alle quali abbiamo affidato istruzione e sanità, si sono rivelate più inefficienti e inconcludenti dello Stato centrale, col quale entrano spesso e volentieri in conflitto. Sembrava che tutti questi rappresentanti che il popolo mandava in parlamento, per lo più avvocati e umanisti, fossero la causa di governi inabili, incapaci di risolvere questioni antiche. La politica andava separata dalla burocrazia e dai dirigenti amministrativi, invece la politica non ha fatto altro che fare un passo indietro e dalla seconda linea assumere il ruolo di chi nomina i tecnici e i competenti. Una caricatura dello spoil system americano ci è sembrata la chiave giusta per rinnovare i quadri amministrativi: il presidente del consiglio o quello della Regione arriva e si porta i suoi burocrati preferiti mandando a casa i precedenti. E invece ora sappiamo che la casta politica ha generato una casta amministrativa camaleontica che gioca in proprio capace di saltare sul carro dei vincitori appena sente puzza di bruciato.
Tornando agli assessori esterni calabresi essi non solo non hanno peso politico (ma è giusto quello che volevamo) però quando uno di loro litigherà, per una qualsiasi questione, con il proprio sponsor, quest’ultimo chiederà subito la permuta ad Occhiuto. Oppure avverrà l’inverso, sponsor e Occhiuto entreranno in contrasto e ne farà le spese l’assessore. In questi due scenari l’assessore esterno appare un vaso di coccio. Niente che già non sappiamo, è la stessa sorte dei sottosegretari al governo, stretti tra ministro (che non li ha scelti) e sponsor politico, i due vasi di ferro.
Il problema degli assessori esterni, nominati per conto terzi, va visto in rapporto agli assessori votati o interni. I primi non hanno peso politico ma sono agiti dallo sponsor politico che li ha messi là, i secondi seguono le solite logiche clientelari per soddisfare i portatori di voti. Gli esterni rispondono al loro dante causa, gli interni ai gruppi di interessi. La matassa s’ingarbuglia, non solo in Calabria in verità, si pensi alla Valle d’Aosta, se dante causa e gruppi sono malavitosi e/o mafiosi. Sull'”Onorata sanità” ha scritto Arcangelo Badolati su Mamma ‘Ndrangheta: “le cosche hanno allungato la propria mano, sin dalla seconda metà degli anni 80 del secolo scorso, anche sulla sanità. […] Il ‘modello’ applicativo della strategia d’infiltrazione criminale è stato sperimentato nella Piana di Gioia Tauro, nella Locride, a Reggio Calabria e a Melito Porto Salvo, ove già era forte la capacità delle consorterie di influenzare il ceto politico locale e le scelte delle amministrazioni comunali”.
In conclusione, una terra in cui il presidente di Regione è anche capo assoluto della sanità con 3,9 miliardi circa, cioè il 60% del totale di 6,5 miliardi (risorse destinate al finanziamento del servizio sanitario regionale – Bilancio di previsione della Regione Calabria per il triennio 2022-24); nonchè dominus della programmazione europea e del Pnrr, avrebbe bisogno quantomeno di avere una squadra di assessori scelti da lui, di cui si fida ciecamente e che ha nominato convinto di aver scelto fior da fiore. Se al contrario li ha nominati ossequiando il popolo sovrano o i capicorrente che lo sostengono si è inguaiato da solo.