Ad agosto 2021 in Calabria erano 87.226 i nuclei familiari che hanno ricevuto la cifra che dovrebbe aiutarli a sostenere le spese fino a che non troveranno un lavoro per un periodo di 18 mesi. Sono ben 197 mila cittadini (il 10% esatto dei residenti) per una media di 542 euro al mese. Non si trova nessuno in giro che non osi definirlo uno strumento necessario, ma congegnato male. Alleanza contro la Povertà, per bocca di don Giacomo Panizza, ha detto: «Il reddito di cittadinanza va accompagnato dalla costruzione di posti di lavoro. I percettori devono essere educati a non fare a meno del lavoro, anche ad inventarlo, magari con percorsi specifici».
Dati del settembre 2019 (Calabria Monitoraggio https://www.lavoro.gov.it › Documents › Calabria) spiegavano che l’ambito con il più alto numero di nuclei beneficiari è quello di Reggio Calabria. La media dell’importo mensile per i nuclei beneficiari RDC/PDC è pari a 493 euro ed è più alta della media nazionale. Il 34,3% dei nuclei beneficiari è composto da 1 single (sotto la media nazionale), le famiglie con almeno un minore sono il 37,5%. Il 61,2% dei nuclei beneficiari RdC è indirizzato ai Centri per l’Impiego (la regione con la percentuale più alta), il 34,7% è indirizzato ai Servizi Sociali (sotto la media nazionale), mentre il 4% dei nuclei beneficiari non è tenuto agli obblighi (sotto la media nazionale).
Ma è la regione Campania a salire sul podio dell’assistenzialismo con Napoli prima città d’Italia. Nel 2021 sono stati revocati ben 18.700 sussidi, 67mila sospesi perché decaduti per mancanza di requisiti in seguito a variazioni reddituali. Secondo l’osservatorio Inps sono 775mila persone (il 13,36 dei residenti) e 302 mila famiglie i beneficiari campani nei primi due mesi del 2022.
L’escalation è cominciata nel 2019, quando in Campania si contavano 213 mila famiglie e 610 mila beneficiari, l’anno dopo il dato è aumentato ( ben 313 mila famiglie e 850 mila persone), per giungere poi, nel 2021 ( in piena pandemia) a sfiorare il milione di beneficiari, con 351mila famiglie e 922 mila persone titolari di reddito (quasi il 16% dei residenti campani). In forte aumento anche i dati relativi a revoche e decadenze: nel 2019, solo 114 revoche per controlli e 13mila decaduti (Inps ha verificato mutamento dei requisiti con variazioni reddituali), ora siamo passati a 26mila beneficiari decaduti.
Per l’esercito dei percettori di reddito il lavoro non c’è. Per i 340 navigator ancora in campo, protagonisti di un’odissea fin dall’inizio dell’attività ( la Campania fu ultima ad assumerli, a causa del diniego del presidente De Luca contrario al sistema di sovrapposizione con le agenzie per l’impiego), l’attività è stata fortemente limitata, secondo “Repubblica” c’è stata una media di 679 beneficiari trattati da ciascun navigator. Circa le imprese contattate, la media è di 340 aziende per ciascun navigator, 29.610 le opportunità lavorative rilevate.
A Marano, città posta in parte sulla collina dei Camaldoli nella città metropolitana di Napoli, un comune popoloso quanto Lamezia, si concentra un terzo del reddito di cittadinanza finito in 5 mesi nelle tasche di chi non ne aveva diritto: 2,7 su 6,5 milioni distribuiti tra Napoli e provincia. I carabinieri della compagnia di Marano hanno denunciato 125 persone, di cui 101 con precedenti penali. Nell’elenco figurano pusher, parcheggiatori abusivi, stranieri residenti da meno di 10 anni (requisito per il reddito, ndr) e addirittura la figlia di un affiliato coinvolto nell’omicidio del giornalista Giancarlo Siani. In un città dove il reddito medio si attesta sui 16 mila euro – 5 mila euro sotto la soglia nazionale – e più del 40 per cento dei contribuenti non guadagna abbastanza per pagare le tasse, la fabbrica dei sussidi pubblici ha già sostituito il lavoro. E gli spazi lasciati liberi dalla fame li occupa la criminalità: su 15 chilometri quadrati sono un centinaio i beni confiscati. Senza contare i bar, le imprese edilizie, finanche le pompe funebri colpite da interdittiva antimafia.
Insomma, in Italia per il reddito di cittadinanza spendiamo circa 7,2 miliardi l’anno per sostenere 1,36 milioni di famiglie su 2 milioni di famiglie povere totali. Questo strumento, però, è nato con molti limiti che vanno urgentemente corretti, cominciando col non darlo a chi non ne ha diritto. Certo è molto complicato controllare tutte le richieste di poveri veri e presunti, ma potenziare l’incrocio dei dati, a partire dall’anagrafe nazionale, consentirebbe di individuare a monte chi non ha diritto, prima di fare il versamento. Anche perché una volta scovati i furbi, quei soldi non li rivedrai mai più.
Un esempio semplice da comprendere riguarda due single. Giorgio abita a Milano e guadagna meno di 840 euro al mese. Antonio risiede a Nocera Inferiore, in provincia di Salerno, e non arriva a 570 euro al mese. Per l’Istat Giorgio e Antonio sono poveri alla stessa maniera perché a Nocera Inferiore i prezzi sono più bassi che a Milano, quindi la quantità di cose che possono permettersi è identica. La soglia di povertà fissata dal reddito di cittadinanza per i single è di 780 euro, vuol dire che Antonio prende l’assegno e Giorgio no. Non solo: se a Nocera Inferiore guadagni ogni mese 650 euro per l’Istat non sei povero in senso assoluto, ma il reddito di cittadinanza viene dato lo stesso perché sei sotto i 780 euro.
Il risultato finale è che oggi il 36% di coloro che prendono il reddito, non se la passano bene, ma non sono poveri. Mentre c’è un 56% di poveri che oggi non riceve il reddito. Quelli tagliati fuori abitano al Nord e nelle metropoli. Da notare: il reddito di cittadinanza di un single è composto da 500 euro per vivere più 280 per l’affitto. E il contributo per l’affitto è lo stesso in tutta Italia. Ma un monolocale periferico a Milano non lo trovi a meno di 400 euro, a Nocera Inferiore te ne bastano 200.
A controllare che il percettore di reddito si dia davvero da fare per trovare lavoro sia lo stesso ente, come avviene per esempio in Germania e in Francia. In Italia invece l’Inps dà l’assegno e i centri per l’impiego i servizi. La legge dice che un’offerta di lavoro è «congrua» – e quindi se la rifiuti il reddito viene tagliato o addirittura tolto – se il contratto è a tempo a indeterminato e garantisce almeno 858 euro al mese. Abbiamo visto che a nessuno è mai stato tolto il reddito perché la mano destra non sa quello che fa la sinistra. Invece il contratto a termine o a tempo determinato puoi rifiutarlo infinite volte e nessuno potrà mai far decadere il reddito, perché è la legge stessa a non considerali «congrui». Il 59% dei percettori del reddito non ha mai lavorato o non lavora da anni. Reinserire queste persone con un contratto indeterminato è ai limiti dell’impossibile. Sarebbe quindi ragionevole inserire anche questi tipi di contratti tra le offerte congrue.