L’Italia sarà quel che il Mezzogiorno sarà! Una delle tante “profezie”, la cui paternità, mi pare, spetti a Mazzini. Dopo centocinquanta anni che rimescoliamo la stessa minestra, la storia del meridione pullula di auspici e di presagi preconizzati dagli aruspici di turno; di investimenti, che sono serviti solo ad alimentare prebende ed appannaggi per chiunque si trovasse, al momento, nell’orbita del Re Sole, ad appagare la “sete” di politici e faccendieri, di pifferai e perdigiorno, costruendo nel contempo le fortune politiche ed economiche anche di opinionisti e di aspiranti tali, autori di libercoli e saggi finalizzati alla creazione dell’icona del meridionale che, grattandosi l’ombelico, aspetta che la manna scenda dal prodigo cielo.
Intanto l’ammalato, del quale ricorrentemente si fanno la diagnosi e la prognosi, si sta spegnendo progressivamente: i sintomi della malattia sono noti a tutti, ma gli effetti prodotti dalle cure, anzi che mirare alla rimozione delle cause, vanno solo a lenire gli affanni.
Il Sud sta sparendo giorno dopo giorno: i bookmakers ne hanno sentenziato il crollo demografico (dopo 150 anni nascite al minimo), il sottosviluppo permanente (Sud peggio della Grecia) e l’immobilismo tumultuoso perché tutto non accada (perpetuazione del gattopardismo). La fuga dei “cervelli” è poi la ciliegina sulla torta; vanno via, paradosso dei paradossi, anche le mafie; nel calzino della penisola resta “il paradiso abitato dai diavoli”, quella squallida manovalanza che campa sul racket, sui taglieggiamenti e sui grands commis di qualche affare speciale.
I profeti tutti, che di volta in volta si sono succeduti, ubbidendo alle logiche della politica spot, quella degli annunci sensazionali finalizzati unicamente alla raccolta di consensi, stigmatizzando le disattenzioni del predecessore, hanno sempre posto il Sud come uno dei punti prioritari nel programma di rilancio del Paese. Questa leggenda metropolitana, che si è consumata e che è finita, sepolta nelle ceneri dell’ultimo demiurgo che, come l’araba fenice, tenta ora di tornare a novella vita, ancora oggi è una ferita non rimarginata. Mi auguro, insieme a tutti gli italiani, che l’improvvisazione politica e le “minchiate” mediatiche, nonché le oniriche visioni economiche liberiste di qualche libero pensatore, abbiano trovato la parola “fine”. Però, forse, per uno che va altro ne viene.
Non ho mai amato le “guasconate”, non soffro di “intolleRenzia”. Voglio dire, però, che l’attuale governo è perfettamente allineato sulle posizioni “quo ante”. Dopo gli splendidi e lusinghieri annunci relativi al ruolo che il Sud avrebbe ricoperto nello sviluppo economico e sociale dell’italica penisola, mi sarei aspettato che la legge di stabilità desse finalmente al meridione d’Italia ben altro ruolo e responsabilità.
L’annuncio dell’attuale premier dell’agosto scorso – un master plan per il Sud – diede la sensazione che, finalmente dopo anni, prendeva corpo e consistenza un modo nuovo di pensare alla ripresa dell’Azienda Italia: le ataviche tare e le sacche perennemente depresse dell’economia sudista – attendismo, assistenzialismo e pietismo accattone – finalmente avrebbero avuto fine ed avrebbe avuto la stura, invece, un processo economico fatto di lavoro, di innovazione, di ricerca e di legalità profusa ed impastata con l’acqua e la farina del pane quotidiano.
Quale cocente delusione, invece: masterplan e patti per il Sud sono un insieme di buoni propositi che vanno dall’impiego dei fondi della comunità europea, semmai se ne verificheranno i presupposti, ai cinque miliardi “made in Italy”, se mai ce ne sarà disponibilità.
Per una volta d’accordo, sindacati e imprenditori dichiarano, insieme, la loro delusione. Sì, effettivamente l’attenzione governativa si è ridotta ad un intervento di bonifica nella terra dei fuochi, ma del piano di rilancio non c’è traccia: lavoro, innovazione e ricerca, investimenti e legalità non trovano asilo. O meglio, su una finanziaria che vale 30 miliardi circa – risorse di cui quasi la metà è sforamento del debito pubblico – il Sud, in prima istanza, vale 150 milioni.
Ricordate l’intervento del nostro premier nel salotto del prodigo – per sè e per i suoi ospiti – Fabio Fazio? Da tronfio avanguardista Renzi annunciava, sommando – chiedo sicula licenza – c…i, mazzi e ramurazzi, 10 miliardi di investimenti nel Sud.
Fatti e misfatti, ruberie e clientelismo, evasione e sperpero di denaro pubblico, corruzione ad ogni livello, hanno caratterizzato fino ad oggi la vita politica e amministrativa del Sud, in un crescendo rossiniano nel quale primi attori e comparse della sua classe politica sono progressivamente diventati un tutt’uno.
Ma i burattinai, i grandi evasori abitano ed albergano al di sotto delle Alpi ed hanno costruito le loro fortune mixando, forse… non equamente, i profitti del malaffare: onore e gloria ai grandi imprenditori; frustate e bacchettate su chi ha tenuto loro bordone.
Basta, quindi, con il fango a catinelle sui meridionali! C’è tanta m…elma in giro, che Roma, Milano e Venezia, a braccetto, potrebbero concorrere all’assegnazione del tapiro d’oro di Ricci e Staffelli.
Non è questo, però, l’argomento che voglio trattare. Desidero piuttosto mettere in rilievo l’incoerenza ed il disaccordo esistente tra i componenti dello stesso governo ed evidenziare una grande verità: la questione meridionale non avrà mai soluzione, in quanto essa è speculare alla questione settentrionale; pertanto sarebbe più giusto parlare di squilibri esistenti tra Nord e Sud e cercare di colmarli una volta per sempre, prendendo coscienza che fino ad oggi abbiamo giocato a “mittinculi e piglinculi”. Questi ultimi, però, non gradiscono il ruolo loro assegnato.