Torna comodo, in qualsiasi occasione, dare la responsabilità degli eventi agli altri ed indossare con candore i panni delle “vittime del sistema”. Serve alla classe politica meridionale per rifuggire dalle proprie responsabilità rappresentative ed a giustificare la sua inutile presenza in seno ai consessi nazionali; serve, sopra tutto, agli “opportunisti di mestiere” ed ai “maneggioni” esperti in troschini ed intrallazzi; serve, però anche, agli “attendisti”, vale a dire a coloro i quali, difettando lo spirito di iniziativa, preferiscono aspettare divini e benevoli interventi.
Insomma, il lamento come alibi, il piagnisteo, l’autocommiserazione sono diventati luoghi comuni e, quel che è peggio, hanno provocato una muta, rassegnata accettazione del sistema di distribuzione di prebende ed appannaggi, finalizzata al “chiagni e fotti”.
Due, quindi, i problemi del Mezzogiorno che si concretizzano nella rivolta del Nord contro i trasferimenti di risorse economiche al Sud e nella sua deriva criminale.
Concetto questo che – non ricordo il nome dell’autore e ne chiedo venia – fece scrivere che era inaccettabile togliere il foraggio ai cavalli di razza per alimentare ratti, zoccole ed altre specie che si mangeranno poi i cavalli.
Giova ricordare che nell’immediato dopoguerra, quando la neonata Repubblica varò il piano di ricostruzione del mezzogiorno, teso alla diminuzione del gap esistente tra le due Italie mediante la realizzazione di grosse infrastrutture che facessero da volano ad altri investimenti pubblici e privati, tutto sembrò funzionare a meraviglia. La Cassa del Mezzogiorno trasformò lo stivale in un enorme cantiere. Tra alti e bassi .
Quando, però, la gestione delle risorse passò di mano, vale a dire alla classe politica di ciascuna regione, il giocattolo si ruppe. Banditi di passo e pirati della Malesia, faccendieri ed intrallazzatori hanno dato inizio alle danze: clientelismo ed affarismo si sono coniugati perfettamente con la classe politica; l’organizzazione mafiosa è diventata sempre più arrogante e tracotante, ha straripato portandosi via ogni argine, si è impadronita di interi territori con la connivenza di politici ed amministratori, diventando ndrangheta, camorra e sacra corona unita con una propria specifica collusione con l’organizzazione politica ed amministrativa del territorio d’appartenenza.
Pertanto, oggi il problema del divario assume una connotazione diversa, che non è quella, quantitativa, della destinazione di fondi finalizzati a colmare ataviche carenze, bensì quella di gestire bene le poche risorse erogate, sempre dopo aver individuato una classe politica degna di tal nome. Qui casca l’asino!
Molto si è fatto, moltissimo si è scritto, tanto si è sperperato, tantissimo si è disperso in mille rivoli; ma la vecchia questione meridionale non ha subito sostanziali mutamenti, anzi il problema del mezzogiorno evidenzia una continuità temporale e accadimenti che perdurano sostanzialmente immutati fin dagli anni cinquanta.
E’ una ferita che da un secolo e mezzo non riesce a rimarginarsi, che sta dividendo l’opinione pubblica italiana fino a quasi divenire, per buona parte di essa, testimonianza e persino simbolo dell’inefficienza e dell’illegalità, degli aspetti negativi del mezzogiorno peggiore, tanto da aver fatto dire a qualche ex pocket ministro che senza la Calabria e parte della Campania, il nostro Paese svetterebbe nelle classifiche europee del Bil, acronimo che sta per benessere interno lordo.
Tralascio le amenità, i giudizi affrettati, le celtiche benedizioni ed i riti propiziatori, gli anatemi di qualche capo popolo ed i colpevoli silenzi di una classe politica che si ricorda del mezzogiorno solo nei momenti in cui interessi e calcoli utilitaristici bussano alla porta; ebbene, pur ammettendo, ma con una grossa percentuale di abbattimento, l’esistenza di quegli aspetti negativi attribuiti al mezzogiorno dai tanti maestri in sedicesima, val la pena di fare qualche considerazione.
Ad oggi la profezia di Mazzini si sta avverando su tutta la linea, se è vero come è vero che dopo 150 anni il divario tra Nord e Sud non solo non accenna a diminuire, ma la questione meridionale, da problema territoriale, è diventata questione nazionale e, come tale, meriterebbe l’attenzione politica di tutti.
Vagheggiare ancora interventi assistenzialisti (Banca del Sud), agitare il cartello delle grandi opere infrastrutturali (Ponte sullo Stretto), riprogrammare i fondi Ue e Fas è quanto meno astrattezza politica e cozza contro l’amara realtà di un Sud dove il costo del denaro ha tassi più alti che nel resto del Paese, il ponte è solo un progetto simbolo e l’ammodernamento della Salerno-Reggio Calabria slitta ancora a data da stabilire. Pertanto è diabolico riproporre ancora una volta, in chiave retorica nazionalista, iniezioni di assistenzialismo al Sud in cambio dell’egemonia di un Nord le cui salde tradizioni storiche di autonomia e capacità amministrativa sono ormai insidiate da corruzione, collusione politica-malaffare, evasione fiscale. Col risultato che oggi è l’intera penisola a correre dritta dritta verso l’illegalità.
Zoccole e pantegane si sono mangiati i cavalli di razza? Mittinculi e piglinculi siedono oggi allo stesso desco? Assodato che la questione meri-settentrionale ha perduto la connotazione mazziniana – per citare il capostipite – il premier Renzi, anzi che dispensare bacchettate sulle mani dei meridionali non farebbe bene, prima di tutto, a “ricomporre” le strutture dello Stato dalle Alpi alle Piramidi? Sarebbe opportuno, dal momento che i burattinai hanno cambiato residenza!